Sageo, Tsukaito e Odoshi fatti a mano

Una delle espressioni più concrete dello sviluppo della civiltà umana, in era protostorica, è sicuramente la tessitura, cioè la capacità di trasformare dei filati in manufatti come stoffe, cinture, nastri, corde, ecc.

Con tutta probabilità, prima dell’invenzione dei telai, l’intreccio dei filati avveniva con mani e dita, manipolando i cappi senza alcun utensile specifico. In molti popoli ed in molte culture ne è tuttora rimasta traccia: dallo “scoubidou” (molto diffuso come gioco e passatempo anche in Europa) al “kute-uchi” giapponese.

Fu proprio quest’ultima tecnica che, in Cina prima e poi – via via – in Corea e Giappone, creò le basi del “Kumihimo” (letteralmente “intreccio di fili”).

 (Disegno di Kazuma Mitani tratto dal volume “Comprehensive Treatise of Braids I di Makiko Tada)

Col passare del tempo l’arte del Kumihimo diventò funzionale anche per la realizzazione di armature, finiture per spade (katane) e cinture (obi).

Proprio come appassionato di spade tradizionali giapponesi (Nihonto) ho cominciato ad interessarmi al Kumihimo in quanto mi consentiva di realizzare artigianalmente molti “accessori” altrimenti introvabili, soprattutto per i materiali (seta o cotone naturale) e per i “pattern“, cioè le forme, i disegni ed i colori specifici di ogni intreccio, spesso legati indissolubilmente ad un’epoca, uno shogunato, un clan. Talvolta riproducendo dei motivi e delle allegorie profondamente vicini a molti aspetti culturali e religiosi (buddismo zen, shintoismo, ecc.).